Ho letto “Fontamara” dopo
“L’avventura di un povero cristiano”, ultima opera di Ignazio Silone, che
racconta la storia di Celestino V, Pietro del Morrone; pontefice per pochi mesi
nel 1294, abdicò in favore di Bonifacio VIII Caetani, che andò ad impinguare di
terre e ricchezze le propietà di famiglia, sfruttando e sviando il proprio
potere.
Fontamara è un romanzo che racconta
degli abitanti di un villaggio di fantasia, della Marsica abruzzese, disposto
sul fianco di una montagna grigia e brulla ed abitato dai poveracci di tutte le
contrade del mondo. Persone umilissime, che vivono immutabili condizioni di povertà,
sacrificio ed ingiustizia; un luogo d’isolamento spaziale, materiale e
culturale, in cui si svolge l’intera storia universale dell’uomo, dalla nascita
alla morte, e dove le dinamiche determinano unicamente litigi per il cibo e l’acqua.
Isolamento che si traduce in
un’incomunicabilità tra i fenomeni cittadini e la vita cafona, perchè realtà sconosciuta
all’altra, caratterizzate da valori, interessi, pensieri e comportamenti diversi.
L’uso di lingue differenti, le difficoltà a capirsi, la necessità di un
traduttore culturale, rende molto bene l’estraneità dei due destini, per cui se
contatti avvengono, sono travisati, inconsapevolmente sottovalutati. Esempio è
la stampa del giornale, mezzo su cui riversare lamentele e rivendicazioni, anche
più cariche del solito, dopo la morte di Berardo, ma sempre lontanissime dal
costituire istigazione alla rivoluzione; eppure vista come pericoloso oltraggio
alla politica di rigore ideologico portata avanti dal regime, causa
giustificatrice dell’uccisione collettiva nella scena finale.
Tipico di rapporti con persone ignoranti
è il fatto che il più forte, in quanto dotato di maggiori strumenti culturali o
eserciti funzioni pubbliche, il cittadino (che sia l’impresario o il ragazzo
antifascista), cerchi di piegare a proprio favore le situazioni, usando il più debole
ai propri fini. E’ l’idea per cui il cafone abbia meno dignità e quindi possa
essere utilizzato e diventare mezzo per uno scopo non proprio, non importa se giusto
o meno. Grave rimane il non rendere consapevole e partecipe, alla pari, di un
destino costruito insieme.
Interessante vedere come le prove
di forza del fascismo, da poco instauratosi al governo, non vengano comprese,
né individuate come novità. Da sempre i fontamaresi sono sfogo di frustrazioni
collettive, soggetti a nuovi ed antichi soprusi, da parte di tutti, perchè chiunque
è superiore ai cafoni; Silone descrive, nel capito I, la gerarchia sociale:
« In
capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo.
Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch'è finito. »
Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch'è finito. »
I Torlonia (famiglia d’origine
francese, Torlognes) negli anni ’60 dell’800 s’impadronirono a poco prezzo
delle azioni di una società finanziaria che aveva fatto perforare l’emissario
per il prosciugamento del Fucino, e che vedeva riconosciuto dal re di Napoli l’usufrutto
delle terre per novant’anni; in cambio dell’appoggio politico che i Torlonia
offrirono alla debole dinastia piemontese, ricevettero in proprietà perpetua le
terre prosciugate e furono insigniti del titolo di principi.
Il prosciugamento del lago di Fucino
procurò un notevole abbassamento della temperatura in tutta la Marsica, fino a
rovinare le antiche colture; gli uliveti andarono distrutti, i vigneti furono
infestati dalle malattie e l’uva non arrivò più a completa maturazione.
Il Capitano del Popolo è
sostituito dal Podestà, ma la sostanza non cambia, perchè la condizione dei
fontamaresi non può cambiare. Che ci sia Don Magna, proprietario terriero ora
decaduto, don Circostanza, avvocato ed ex capitano del popolo, autore di
crudeli inganni (come quello dei ¾ e della concessione per 5 lustri dell’acqua
del fiume che irriga i campi), o l’Impresaio, podestà fascista, per i
Fontamaresi si profila la solita miseria, ricevuta dai padri ed ereditata dai
nonni, in cui le ingiustizie più crudeli erano così antiche da aver acquistato
la naturalezza della pioggia e del vento.
Il lavoro, di estrema fatica, non
era servito a niente, non s’erano mai visti miglioramenti, contadini e piccoli
proprietari farsi benestanti, acquistare nuove terre, nulla di simile;
possibile era il contrario, contadini che perdevano il proprio appezzamento,
oberati dai debiti. Dunque immobilità, anzi pericolo di regressione.
Dal quadro d’insieme si ricava l’immagine
di un mondo contadino che, pur con vizi, è assai meno corrotto di quello cittadino,
impositore di violenza e del proprio modello sociale. Un mondo in cui i valori
della famiglia e dell’amicizia sono sacri, che il pensiero stenta a realizzare
possano essere sporcati, finalizzati, come comprenderebbe a fatica una
profanazione o un sacrilegio. Berardo va in carcere per difendere un amico, decide
di tacere le rivelazioni del ragazzo antifascista procurandosi torture e infine
la morte (le autorità maschereranno un suicidio), nonostante realizzi, alla
fine, di essere ancora una volta, per l’ultima volta, strumento nella mano
altrui; e però decide di proseguire, di andare in fondo, perchè consapevole d’essere
dalla parte giusta, sapendo che i cittadini non avevano più alcun ruolo nella
sua battaglia ideale.
Scritto da: Antonio
Scritto da: Antonio
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