Un romanzo romano, letto a
Roma. E’ raccontata la Capitale dei primi anni 70, ma immagine d’oggi e di
ieri, dell’atmosfera di un luogo senza tempo. Una città carica di fascino, di
una storia che rimpicciolisce la dignità del singolo ma capace d’inorgoglirlo
perchè partecipe, anche solo di striscio e silenziosamente. Una città
passionale, carnosa, che non ha vergogna a manifestarsi sfacciatamente ricca,
senza poter eccedere perchè culla della vera bellezza. Roma suscita emozioni
forti e vorticose, è contesto di una vita educata alle sensazioni, colte in
tutte le loro manifestazioni.
Le vicende ruotano intorno
alla figura di Michele, un ragazzo poco più che ventenne, artista sbandato, e
di una decina di persone, suoi famigliari ed amici. Il contesto storico è
quello immediatamente successivo al ’68, periodo di grande rivolgimento
sociale, in cui trovarono sfogo insieme legittime rivendicazioni di diritti e
manifestazioni di idee confuse (Michele stesso, in una lettera alla sorella
Angelica, dice che la moglie Eileen è iscritta al Partito Comunista e invece di
lui afferma di non essere niente, di non avere appartenenze partitiche, tipico
dei giovani di quel periodo, abbagliati da movimenti extra parlamentari molto
ideologizzati e spesso violenti, che vedevano come primo nemico il Partito
Comunista, colpevole di aver tradito il proposito della rivoluzione proletaria).
La storia entra in punta di piedi, in posizione defilata rispetto al
trascorrere della vita quotidiana, non si fa riferimento a fatti precisi ma il
terrorismo è evidentemente elemento centrale nello svoglimento della trama (la
fuga di Michele per motivi politici, la pistola nella stufa, le amicizie con
giovani estremisti, l’omicidio in Belgio). I protagonisti sono giovani che non
riescono a scrollarsi di dosso l' odore degli spinelli, il tumulto delle
manifestazioni studentesche, e adulti incapaci di essere diversi, forti di una
saldezza morale, incapaci di fornire modelli valoriali alternativi,
protagonisti passivi dei cambiamenti della storia e osservatori senza
direzione. La Roma raccontata è quella della borghesia ricca, delle belle vie
del centro, via dei Villini, via dei Prefetti, sembra di vedere il glicine alle
cancellate, sentire il profumo d’arancio oltre i portoni.
Caro Michele è un romanzo
epistolare, raccoglie 37 lettere, destinatario della maggior parte delle quali
è Michele. A scrivergli sono sua madre Adriana, sua
sorella Angelica, Mara Castorelli, una ragazza con cui ha avuto una relazione
“aperta” e dalla quale potrebbe aver avuto un figlio, e Osvaldo, amico e
probabilmente ex amante. Scritte
nel tentativo di mantenere un contatto che tende a sfuggirle, le lettere di
Adriana al figlio sono le più frequenti e le più informative; dopo un
matrimonio e un amore falliti, il trasferimento nella grande casa di campagna,
si sente sola e cerca dei riferimenti nello scorrere veloce della vita. Ma,
consapevole sia tardi per riuscire ora a costruire rapporti umani di sincera
vicinanza, esprime la disillusione nei lucidi rimproveri al figlio. Anche le
lettere di Mara, più che coltivare un rapporto a distanza, combattono
l’isolamento di madre single e nomade; incompresa in un mondo di ricchi e
pseudo intellettuali, in cui le parole riescono, ai suoi occhi, a mascherare
pari inconsistenza, è perennemente in cerca di accettazione, traguardo
allontanato dai tanti errori comportamentali e difficoltà caratteriali. Finisce
per vivere in un mondo di bugie grossolane che bastano alla sopravvivenza e
solo alla propria accetazione di sé. La sorella Angelica è la corrispondente centrale
all’intreccio, fungendo da tramite nel rapporto di Michele con la famiglia (in
particolare con la madre) e con Mara. Anch’essa in cerca di una vicinanza col
fratello è madre e moglie sola, lontana emotivamente dal marito Oreste,
impegnato funzionario di partito e giornalista, poco attento alle esigenze
affettive famigliari.
Quasi ogni lettera
custodisce, sotto le parole, un segreto, da cogliere come leva di reazioni.
Evidenti i problemi derivanti da una vita senza legami umani stabili, di una
società in cui vi è paura a conoscere l’altro, sinceramente e in profondità. Il
pensiero della sufficienza del bastare a se stessi, di cercare al massimo
legami interessati e funzionali, si scontra con la necessità naturale di
incontrarsi, riconosceri nell’unione con l’altro, godere della sicurezza di
rapporti umani veri, generosi e stabili. Nel libro questi segreti appaiono come
verità illuminate debolmente, percepite superficialmente dai personaggi, che si
avvicinano ma sono subito rimbalzati da un foglio d’acciao, impenetrabile e che
determina rassegnazione all’inconsapevole e alla lontananza. Si vedano, per
esempio, il comportamento di Michele nei confronti del padre morente, che non
saluta prima di partire, per non svegliarlo (non lo rivedrà più) e quello di
Angelica, che dopo aver lanciato nel Tevere la pistola nascosta nella stufa del
seminterrato di Michele, affiorati alla memoria ricordi commoventi, si asciuga
le lacrime e va a comprare le calze nere per il funerale del padre, con
freddezza e meccanicità; entrambi episodi che rappresentano l’incapacità di
concedersi momenti d’emozione, di rapportarsi con il mondo emozionale, in parte
consapevoli della perdita e però convinti della mancanza d’alternative.
La fragilità dei rapporti
umani è sofferta in particolare da Adriana e Osvaldo, il cui amore per la
memoria è non solo occasione di somiglianza e di amicizia, ma anche di
consapevolezza che la forza interiore va coltivata nella ricerca di una verità
nel rapportarsi dei destini umani. È questo che si trasforma in senso di
appartenenza a una comunità; bene forse paradossale dato che l’unico effetto
visibile della loro costanza sembra essere l’acuirsi della malinconia, perchè
consapevoli di essere soli in un mondo di contatti umani casuali.
Scritto da: Antonio
Scritto da: Antonio
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