domenica 13 aprile 2014

Caro Michele


Un romanzo romano, letto a Roma. E’ raccontata la Capitale dei primi anni 70, ma immagine d’oggi e di ieri, dell’atmosfera di un luogo senza tempo. Una città carica di fascino, di una storia che rimpicciolisce la dignità del singolo ma capace d’inorgoglirlo perchè partecipe, anche solo di striscio e silenziosamente. Una città passionale, carnosa, che non ha vergogna a manifestarsi sfacciatamente ricca, senza poter eccedere perchè culla della vera bellezza. Roma suscita emozioni forti e vorticose, è contesto di una vita educata alle sensazioni, colte in tutte le loro manifestazioni.

Le vicende ruotano intorno alla figura di Michele, un ragazzo poco più che ventenne, artista sbandato, e di una decina di persone, suoi famigliari ed amici. Il contesto storico è quello immediatamente successivo al ’68, periodo di grande rivolgimento sociale, in cui trovarono sfogo insieme legittime rivendicazioni di diritti e manifestazioni di idee confuse (Michele stesso, in una lettera alla sorella Angelica, dice che la moglie Eileen è iscritta al Partito Comunista e invece di lui afferma di non essere niente, di non avere appartenenze partitiche, tipico dei giovani di quel periodo, abbagliati da movimenti extra parlamentari molto ideologizzati e spesso violenti, che vedevano come primo nemico il Partito Comunista, colpevole di aver tradito il proposito della rivoluzione proletaria). La storia entra in punta di piedi, in posizione defilata rispetto al trascorrere della vita quotidiana, non si fa riferimento a fatti precisi ma il terrorismo è evidentemente elemento centrale nello svoglimento della trama (la fuga di Michele per motivi politici, la pistola nella stufa, le amicizie con giovani estremisti, l’omicidio in Belgio). I protagonisti sono giovani che non riescono a scrollarsi di dosso l' odore degli spinelli, il tumulto delle manifestazioni studentesche, e adulti incapaci di essere diversi, forti di una saldezza morale, incapaci di fornire modelli valoriali alternativi, protagonisti passivi dei cambiamenti della storia e osservatori senza direzione. La Roma raccontata è quella della borghesia ricca, delle belle vie del centro, via dei Villini, via dei Prefetti, sembra di vedere il glicine alle cancellate, sentire il profumo d’arancio oltre i portoni.

Caro Michele è un romanzo epistolare, raccoglie 37 lettere, destinatario della maggior parte delle quali è Michele. A scrivergli sono sua madre Adriana, sua sorella Angelica, Mara Castorelli, una ragazza con cui ha avuto una relazione “aperta” e dalla quale potrebbe aver avuto un figlio, e Osvaldo, amico e probabilmente ex amante.  Scritte nel tentativo di mantenere un contatto che tende a sfuggirle, le lettere di Adriana al figlio sono le più frequenti e le più informative; dopo un matrimonio e un amore falliti, il trasferimento nella grande casa di campagna, si sente sola e cerca dei riferimenti nello scorrere veloce della vita. Ma, consapevole sia tardi per riuscire ora a costruire rapporti umani di sincera vicinanza, esprime la disillusione nei lucidi rimproveri al figlio. Anche le lettere di Mara, più che coltivare un rapporto a distanza, combattono l’isolamento di madre single e nomade; incompresa in un mondo di ricchi e pseudo intellettuali, in cui le parole riescono, ai suoi occhi, a mascherare pari inconsistenza, è perennemente in cerca di accettazione, traguardo allontanato dai tanti errori comportamentali e difficoltà caratteriali. Finisce per vivere in un mondo di bugie grossolane che bastano alla sopravvivenza e solo alla propria accetazione di sé. La sorella Angelica è la corrispondente centrale all’intreccio, fungendo da tramite nel rapporto di Michele con la famiglia (in particolare con la madre) e con Mara. Anch’essa in cerca di una vicinanza col fratello è madre e moglie sola, lontana emotivamente dal marito Oreste, impegnato funzionario di partito e giornalista, poco attento alle esigenze affettive famigliari.

Quasi ogni lettera custodisce, sotto le parole, un segreto, da cogliere come leva di reazioni. Evidenti i problemi derivanti da una vita senza legami umani stabili, di una società in cui vi è paura a conoscere l’altro, sinceramente e in profondità. Il pensiero della sufficienza del bastare a se stessi, di cercare al massimo legami interessati e funzionali, si scontra con la necessità naturale di incontrarsi, riconosceri nell’unione con l’altro, godere della sicurezza di rapporti umani veri, generosi e stabili. Nel libro questi segreti appaiono come verità illuminate debolmente, percepite superficialmente dai personaggi, che si avvicinano ma sono subito rimbalzati da un foglio d’acciao, impenetrabile e che determina rassegnazione all’inconsapevole e alla lontananza. Si vedano, per esempio, il comportamento di Michele nei confronti del padre morente, che non saluta prima di partire, per non svegliarlo (non lo rivedrà più) e quello di Angelica, che dopo aver lanciato nel Tevere la pistola nascosta nella stufa del seminterrato di Michele, affiorati alla memoria ricordi commoventi, si asciuga le lacrime e va a comprare le calze nere per il funerale del padre, con freddezza e meccanicità; entrambi episodi che rappresentano l’incapacità di concedersi momenti d’emozione, di rapportarsi con il mondo emozionale, in parte consapevoli della perdita e però convinti della mancanza d’alternative.

La fragilità dei rapporti umani è sofferta in particolare da Adriana e Osvaldo, il cui amore per la memoria è non solo occasione di somiglianza e di amicizia, ma anche di consapevolezza che la forza interiore va coltivata nella ricerca di una verità nel rapportarsi dei destini umani. È questo che si trasforma in senso di appartenenza a una comunità; bene forse paradossale dato che l’unico effetto visibile della loro costanza sembra essere l’acuirsi della malinconia, perchè consapevoli di essere soli in un mondo di contatti umani casuali.
Scritto da: Antonio

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